La Meditazione Nuotata

Prendendo spunto dai testi di Thich Nhat Hanh, monaco buddista zen, ho pensato di trasporre i suoi insegnamenti sulla meditazione camminata, all’acqua, elemento nel quale ci troviamo a nostro agio e dove l’attenzione al respiro può farsi in maniera ancor più consapevole. La stagione estiva si presta bene a sperimentare in qualche specchio d’acqua che non sia la solita piscina.

Premetto che, anche se la maggior parte di noi sono dotati di buona acquaticità, l’elemento in cui andremo a praticare va assolutamente trattato col massimo rispetto così come vanno prestate tutte le attenzioni dovute per la nostra sicurezza.

Meditazione camminata non è altro che praticare la meditazione mentre si cammina. Facendo passi brevi in totale rilassamento. Il significato di meditazione nuotata viene da sé.

Credo sia però necessario chiarire che il termine “meditazione” (che in questo caso sarebbe più corretto definire “trascendentale”) è usato con un accezione differente dalla consueta con la quale denominiamo la profonda riflessione sulla natura di un oggetto. In questo caso identifica invece il controllo costante della mente e dei pensieri.

Per noi che abbiamo avuto la fortuna, il dono (chiamatelo come preferite) di sapere nuotare (e ho il fondato sospetto che non tutti siamo soliti soffermarci ad apprezzarlo, dandolo spesso per scontato) riuscire a “staccare la spina” coscientemente, teneramente avvolti e cullati dall’acqua in una bella giornata di sole, è quanto di più bello si possa chiedere.

Credo che l’ambiente migliore per provare sia uno specchio d’acqua libero, quindi senza la costrizione delle virate e delle corsie. Però, potrebbe essere possibile provare anche in piscina, ovviamente compatibilmente alle esigenze degli altri nuotatori.

Per prima cosa è importante svincolarci dai nostri soliti concetti legati al nuoto: stavolta non nuotiamo per allenarci o per gareggiare, quindi niente cronometri. Non abbiamo la necessità di arrivare da qualche parte né di percorrere una determinata distanza. Un bel braccio di lago o di mare poco affollati mi sembrano l’ideale. Torno a ripetere che la sicurezza è, in ogni caso fondamentale, quindi tutto ciò va fatto in condizioni meteo-marine favorevoli.

Thich Nhat Hanh non si stanca di sottolineare come sia stupendo ritrovare il gusto di camminare, magari godendo di scenari naturali inaspettati. Così può essere per noi, troppo spesso clorodipendenti; per noi che per anestetizzarci da una quotidianità fonte di stress, paradossalmente ci ritroviamo ad intossicarci di chilometri e, per questo, a volte, anche le gare in acque libere perdono la spensieratezza che avevano.

Come fare? Il problema è la mente. Perché se ci stacchiamo dal lavoro o dalle ansie giornaliere ma in acqua continuiamo a rimuginare sui nostri problemi, avremo sicuramente fatto un ottimo esercizio fisico ma non avremo ritrovato serenità.

La tecnica che Thich Nhat Hanh propone (ma non solo lui, in verità) è quella di concentrarci sul respiro. E sulla consapevolezza dei nostri passi. Trasponendo il tutto al “nostro universo”, direi che abbiamo un innegabile vantaggio perché, se la respirazione “all’asciutto” è un atto involontario, in acqua richiede già una maggiore attenzione (chi di noi ha insegnato nuoto conosce bene le difficoltà per trasmettere queste basi ai principianti). Quindi si tratta di ritornare un po’ ai nostri primi passi in acqua (perdonate il bisticcio verbale) quando ogni movimento non era ancora acquisito ma richiedeva una grande concentrazione. Ora non siamo più tremendamente rigidi, “imbalsamati” come allora però dobbiamo, con naturalezza, osservarci in ogni istante. In ogni bracciata. Possiamo percepire l’aria che penetra nei polmoni ed osservare le bolle che creiamo espellendola sott’acqua. Impostare, ad esempio, un ritmo di respirazione ogni due, tre o quattro bracciate. Possiamo seguire il braccio nella fase di recupero percependo però, stavolta, il calore del sole e la differenza di temperatura rispetto a quando è immerso; o la pressione che, gradualmente, esercitiamo sull’acqua con la mano e la successiva spinta. Tutti esercizi che fanno parte del nostro bagaglio di nuotatori e che conosciamo alla perfezione. Stavolta eseguiti però con una differente attenzione, indirizzata non alla tecnica ma alla vigile consapevolezza del gesto. Dopo poco tempo ci accorgeremo di non pensare più e di essere “caduti” in un profondo e piacevolissimo rilassamento. Paradossalmente però proprio questa consapevolezza è il segnale che il nostro pensiero si sta allontanando dalla pratica e sta (molto subdolamente) divagando. Con molta tranquillità riporteremo l’attenzione al respiro e alla bracciata.

Il tutto iniziando con pochi minuti di pratica (penso che, per cominciare, una decina siano sufficienti), aumentandoli per gradi, senza voler strafare. E’ solo una “passeggiata di salute”!

Direi che la nuotata che più si addice a questo tipo di esercizio è indubbiamente lo stile libero, dove è più comodo il controllo dei movimenti. Ho qualche dubbio sulla rana. Decisamente sconsigliato, a meno che non siate Phelps, il delfino e, mi sembra anche un po’ meno agevole il dorso. Ma non costa nulla provare.

Ovviamente, tutto ciò è prettamente pragmatico. Se trarremo beneficio da questa pratica ci verrà agevole trasferirne gli aspetti più positivi alla nostra vita di ogni giorno, fuori dall’acqua, mantenendo gli stessi vantaggi del rilassamento nelle situazioni di stress che ci troveremo ad affrontare.

E, per di più, ritroveremo nuovi stimoli e maggior piacere nei nostri consueti allenamenti.